La sindrome di alienazione parentale o PAS è stata teorizzata nel 1985.
Consiste in un processo oppositivo addebitabile ad un indottrinamento da parte del genitore “alienante”: il minore, infatti, rifiuta il genitore non affidatario o collocatario a tal punto da fare di lui il destinatario di continue denigrazioni e accuse di comportamenti abusanti.
La Corte di Cassazione recentemente (con ordinanza 13217/21) ha stabilito che il giudice di merito - ove negli atti processuali siano richiamati elementi indiziari di PAS - deve prescindere da ogni valutazione sulla validità o invalidità scientifica della sindrome e attenersi ai fatti accertati utilizzando i normali mezzi di prove (ascolto del minore, presunzioni, etc).
In altre parole, l’incapacità genitoriale non deve transitare attraverso il riscontro della PAS. Anche in contesti fortemente conflittuali e in presenza di un genitore “leso” nei propri diritti, la PAS viene esclusa dal novero dei fattori incidenti sulla regolazione dell’affidamento perché non in grado di disinnescare la conflittualità.
L’adozione dei provvedimenti giudiziali per la prole deve essere sempre incentrata sul “the best interest of the child”. Se si desse valore alla PAS si finirebbe per dare rilievo a eventuali colpe addebitabili al genitore e non all’interesse materiale e morale della prole o alla salvaguardia del contesto relazionale di riferimento; questo perché il rimedio suggerito dalla PAS è quello di affidare il minore al genitore “alienato”.
La Cassazione, al di là di come si voglia denominare il comportamento del minore (visto che la PAS non è una patologia richiamata nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), ha ritenuto che il giudice debba, comunque, tenere conto degli atteggiamenti mostrati dal bambino e indagare sulle ragioni del rifiuto di vedere il padre o la madre.
Qualora il padre o la madre ostacolino il diritto di visita stabilito con provvedimenti giudiziali, l’altro genitore potrà rivolgersi al tribunale e chiedere una modifica dell’affidamento stesso e/o del collocamento dei figli. Il giudice potrà così mutare l’affidamento da condiviso in esclusivo, previo accertamento della veridicità delle azioni alienanti.
A tutela, sono previste dal codice civile delle vere e proprie sanzioni:
- ammonimento;
- condanna al risarcimento del danno in favore della creatura in qualche modo “programmata” (alterata nella sfera affettiva) o del genitore alienato;
- pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria alla Cassa delle ammende da 75 a 5mila euro.
Il nostro ordinamento stabilisce il diritto alla bigenitorialità: ogni bambino ha il diritto – inviolabile e indisponibile – di crescere insieme ad entrambi i genitori, perché entrambi sono necessari per il suo sano sviluppo psicofisico. In caso di forti conflitti o quando sia negato l’affidamento condiviso, gli incontri con il genitore non convivente devono essere sempre coltivati e favoriti dal genitore collocatario che dovrà fare quanto possibile per rimuovere – e non invece coltivare – eventuali resistenze del bambino, in modo da mantenere un amorevole rapporto con l’altro genitore.